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La solidarietà non è un lusso

Che le persone che hanno meno di altre siano le più disposte ad aiutare, è una cosa che ci dovrebbe far riflettere, ha affermato un’infermiera italiana alludendo alla presenza dei medici cubani. Foto: Enrique Ubieta Gómez
Che le persone che hanno meno di altre siano le più disposte ad aiutare, è una cosa che ci dovrebbe far riflettere, ha affermato un’infermiera italiana alludendo alla presenza dei medici cubani. Foto: Enrique Ubieta Gómez

Data: 

22/06/2020

Fonte: 

Periódico Granma

Autore: 

Quando sono arrivati i medici e gli infermieri cubani a Torino, lei che è una cantante lirica, e che è cubana, si è iscritta alla Croce Rossa per servire come interprete.
 
Ileana Jiménez Calá, tutta risate e cordialità diventa seria quando mi dice:  «Sono cambiata molto. Devo dirtelo, sono cambiata molto. Questo forse non è bello che io lo dica, ma lo devo fare. Sono cambiata umanamente perchè per me è stata una sorpresa. Io ero abituata ad andare in ospedale solo se avevo un dolore  qulcosa. Non aveva mai frequentato medici specialisti. Per me che vivo qui già da 20 anni e stata una sorpresa.
 
«Le poche volte che sono andata in un ospedale la relazione è stata molto distante.  Cos’ha? Questo è il trattamento. Vada e paghi. Vedere loro, in una situazione tanto difficile disposti a tutto  senza sapere se eri ricco o povero, senza pensare in quello che dovevi dare per stare qui, venuti a salvare vite, questo mi ha cambiato.
 
Ho cominciato a vedere le cose in un altro modo, mettendomi nella pelle del malato e in quella del medico. Ho cominciato a vedere la grande disposizione  di questi uomini, la loro grande professionalità, e questo anche se  incoscientemente mi ha dato sicurezza, perchè mi sono detta: «Sei mi succede qualcosa so che starò in buone mani, so che faranno di tutto per salvarmi. Sono cresciuta umanamente. Mi sento molto orgogliosa d’essere cubana».
 
La solidarietà non è un lusso in una Rivoluzione: è la sua essenza. E se non trabocca, se non si esprime tanto dentro quanto fuori dalle sue frontiere, non è solidarietà e non è Rivoluzione.
 
Ho avuto il privilegio d’accompagnare i lavoratori cubani della Salute in America Centrale, Haiti, Venezuela e nei paesi dell’Africa Occidentale durante l’epidemia del Ebola. Pochi paesi possono, come Cuba, mobilitare in poche ore decine di medici e infermieri molto capaci e inviarli in zone di disastri, sena condizioni né pagamenti straordinari.
 
Questo si deve alla vocazione di servizio della formazione dei lavoratori cubani della salute e a una tradizione forgiata sin dai primi anni della Rivoluzione, che è fondamentale  e trova appoggio nella società, per la quale l’internazionalista è un eroe.
 
Non devo spiegare ai lettori che la partecipazione dei medici e degli infermieri di Cuba è assolutamente volontaria.
 
Ci sono professionisti della Salute molto competenti a Cuba, che non hanno mai partecipato a nessuna missione solidale e godono di prestigio professionale. Questo è possibile prima di tutto per una ragione matematica. Cuba dispone del più alto numero di medici pro capite del mondo: nove per ogni mille abitanti.
 
Nel gennaio del 2019 erano iscritti nel paese  95.417 medici, riferisce l’Annuario Statistico Nazionale nel suo capitolo sulla Salute Pubblica.
 
Ma esistono altre ragioni non quantificabili: il medico cubano non è né si sente parte di una classe sociale superiore a quella dei suoi pazienti, né necessita appartenervi per essere rispettato.  Si siede a una tavola povera di qualsiasi contadino o indigeno, li tocca con le mani senza repulsione, ed è disposto a realizzare se è necessario qualsiasi tipo di lavoro, anche fisico, estraneo alle sue funzioni abituali, educato in una società che condivide e vede il suo paziente come un suo vicino.
 
La Medicina cubana accumula una lunga esperienza in due fronti importanti: la prevenzione di Salute nella comunità, da una parte, e lo scontro a epidemie e ad eventi meteorologici inaspettati  dall’altra.
 
Ha sviluppato il metodo clinico in parte per i limiti tecnologici che impone il blocco  e in parte per convinzione.
 
Non sono medici isolati che viaggiano. Non sono semplici brigate o contingenti.
 
Dietro a loro c’è uno Stato rivoluzionario e la volontà politica è decisiva.
 
Ma i medici e gli infermieri cubani non si mescolano nella politica locale, né fanno proselitismo politico, si relazionano al contrario con tutto quello  che  facilita lo sviluppo delle politiche di Salute, rispettano le credenze e i credo, assistono tutti quelli che lo necessitano o lo sollecitano, i contendenti di una o un’altra fazione.
 
Nei piccoli paesi e in quelli molto isolati si alleano a leader religiosi (sacerdoti, pastori, curatori, etc.), e collaborano con medici o Ong di qualsiasi altra nazionalità.  Non esiste rivalità perchè l’obiettivo prioritario è salvare vite.
 
È la prima volta dopo venticinque anni di andare e venire per il mondo, che un paese della vecchia Europa, del Gruppo degli Otto, chiede aiuto a Cuba.
 
L’esperienza è stata  straordinariamente ricca. Non sono stati i poderosi quelli che hanno offerto questo aiuto, ma i «poveri».
 
Come mi ha detto Alessandra Monzeglio, a capo delle infermiere e amministratrice dell’ospedale  COVID-OGR di Torino: «Che le persone che hanno meno di altri siano le più disposte ad aiutare, è una cosa che ci deve far riflettere».
 
IL PICCO FIDEL
 
C’è un posto dove dovremmo andare tutti: il picco Fidel Castro.
 
In uno dei suoi tanti viaggi a Cuba, Michele Curto aveva portato in Italia una tavola di legno di caguairán, sulla quale aveva fatto scolpire il nome di Fidel.
 
Questo legno è così forte -come il suo spirito- che alla dogana pensarono che trasportava una lastra di metallo.    
 
Nel primo anniversario della scomparsa fisica del Comandante, la portarono  sul Monte Arpone, (nelle Alpi) che si trova sulla cima del detto  Colle de Lys, dove nel 1944 avvenne uno degli scontri più cruenti tra i partigiani della Brigata Garibaldi (comunisti) e le truppe fasciste.
 
Gli alpinisti sono andati lì e hanno identificato una roccia abbastanza ampia e liscia.  Poi è giunto nel luogo un gruppo di giovani della Aicec (Agenzia per lo Scambio Culturale ed Economico con Cuba), dell’ Associazione di Amicizia Italia-Cuba del territorio, e della Brigata Gino Doné, ed è stata installata la tavola.
 
Realizzato questo hanno chiesto ai sindaci della zona di riconoscere il toponimo e questo è avvenuto. Da allora il Picco porta il nome di Fidel.
 
PER UN UNICO MONDO DIFFERENTE
 
È stata precisamente Ileana Jiménez Calá che ha ricreato con la sua voce dal vivo la mítica Bayamesa di Sindo Garay. Poi ha interpretato, sempre senza accompagnamento, la romanza di Vincenzo Bellini intitolata Vaga Luna.

«Siamo molto felici per il lavoro che abbiamo realizzato insieme», ha detto in italiano il capo della Brigata cubana. Foto: Enrique Ubieta Gómez

Non commetterò l’errore di dire che è stato il momento cultura del Simposio, perché la scienza e senza dubbio la Medicina esprimono la cultura di ogni popolo e simultaneamente patrimonio di tutta l’umanità: se non è così che lo dicano i medici e gli infermieri di Cuba e dell’Italia che hanno condiviso l’impegno per salvare vite ed hanno scambiato la conoscenza e le esperienze vitali.
 
L’ incontro ha contato con la presenza e le parole di  Carlo Picco, direttore generale dell’Impresa di Salute Città di Torino –gerente del nostro ospedale–; di Fabrizio Ricca, vicepresidente per le relazioni internazionali del Governo piemontese, e dell’Ambasciatore , José Carlos Rodríguez, che è arrivato nella città accompagnato da Jorge Alfonzo, Ministro Consigliere.
«Siamo molto felici per il lavoro realizzato insieme»,  ha detto in italiano alla fine del suo breve intervento il dottor Julio Guerra Izquierdo, a capo della brigata cubana.
 
Da ieri, 18 giugno, ci sono dei pannelli che mostrano le pagine su cui sono stati stampati gli 11 lavori scientifici di cubani e italiani.
 
C’è una porta di vetro chiusa che dà alla zona rossa – prima di diventare l’ospedale COVID-19 era la discoteca del centro culturale - dietro la quale i pazienti già guariti si concentrano per vedere e ascoltare gli esperti.  
 
Alcuni si avvicinano anche in sedia a rotelle.
 
Nell’ospedale non ci sono solo lavoratori della Salute provenienti da Cuba, ma si mescolano anche tra gli italiani uomini e donne nati in altre terre o discendenti d’emigranti. Tra il 15%  e il 20% dei pazienti ricoverati si sono stati stranieri e d’origine straniera. Torino è una città d’emigranti dell’Italia del sud e di altri paesi.
 
Il Simposio ha posto fine a una tappa di collaborazione. Diciamo che è stato un punto culminante. Spero anche che ne comincino altri.