Interviste

CUBA NON NEGOZIA NÉ VENDE LA SUA RIVOLUZIONE, CHE È' COSTATA IL SANGUE E IL SACRIFICIO DI MOLTI DEI SUOI FIGLI

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Introduzione per il lettore
 
Agli inizi di questo mese di giugno, una rivista francese pubblicò a modo di sintesi delle annotazioni fatte dal signore Federico Mayor Zaragoza, che fino a poco tempo fa occupò la carica di Direttore dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), su un colloquio con il Comandante Fidel Castro, avvenuto il 28 gennaio del presente anno, in occasione della sua visita a Cuba per partecipare al secondo Convegno Internazionale di Economisti, tenutosi all'Avana tra il 24 e il 28 dello stesso mese.
 
Alcuni giorni prima del 1° giugno, Federico Mayor aveva spedito copia della suddetta sintesi, nonché un ampio questionario per una intervista su temi analoghi che voleva pubblicare in un altro mezzo di divulgazione. Tuttavia, ciò che avvenne fu che prima ancora della pubblicazione della suddetta sintesi, alcuni dispacci divulgarono, con frasi specifiche fuori contesto e interpretazioni erronee, le annotazioni da lui consegnate.
 
Poco dopo, la pubblicazione precipitata e incompleta di quella sintesi sottoposta a interpretazioni erronee, proprio nel mese di giugno, quando il nostro paese era coinvolto, come lo è ancora, in una intensa attività legata alla lotta contro il criminale sequestro del bambino cubano Elián González, costrinse il compagno Fidel a trovare il tempo minimo indispensabile per rispondere con tutta precisione, ad una ad una, le 33 domande inviate da Federico Mayor, materiale che gli fu spedito d'immediato dieci giorni fa.
 
Questi espresse l'idea di utilizzare tutta l'intervista in un libro che pubblicherà verso la fine di quest'anno. Tenendo conto che molte delle questioni trattate nelle domande, e quindi anche nelle risposte, sono riferite a dei temi e avvenimenti d'attualità e non avrebbero particolare interesse fra qualche mese, il compagno Fidel decise di pubblicare in Granma il testo completo delle proprie risposte, il che comunicò previamente al suo rispettato e distinto amico, l'ex direttore dell'UNESCO, Federico Mayor Zaragoza.
 
Di seguito, le domande e le risposte.
 
RISPOSTE AL QUESTIONARO DI F. MAYOR
 
FEDERICO MAYOR.-Con Cina, Viet Nam e Corea del Nord, Cuba è considerata come l’ultimo baluardo del socialismo. Però, dieci anni dopo la caduta del muro di Berlino, la parola "socialismo" ha forse ancora senso?
 
FIDEL CASTRO.- Oggi sono più convinto che mai che questa ha un gran senso.
 
Quello che accadde dieci anni fa fu la distruzione ingenua e incosciente di un grande processo sociale e storico che doveva essere perfezionato, però giammai distrutto. Questo non lo avevano potuto realizzare le orde di Hitler neanche uccidendo più di venti milioni di sovietici e distruggendo la metà del paese. Il mondo si trovò sotto l’egida di una sola superpotenza che, nella lotta contro il fascismo, non contribuì neanche con il cinque per cento dei sacrifici che fecero i sovietici.
 
A Cuba abbiamo un paese unito e un Partito che guida però non nomina né elegge. Gli abitanti, riuniti in assemblee aperte, propongono, nominano ed eleggono i delegati delle14686 circoscrizioni, che sono la base del nostro sistema elettorale. Essi formano le assemblee dei loro rispettivi municipi e nominano i candidati alle assemblee provinciali e nazionali, massimi organi del potere dello Stato in questi livelli, i quali devono venir eletti con una votazione segreta ed ottenere più del 50 per cento dei voti validi nelle loro corrispondenti giurisdizioni.
 
Pur non essendo obbligatorio, a queste elezioni partecipa più del 95 per cento degli elettori. Molti nel mondo non si sono neanche presi la briga di informarsi su questa realtá.
 
Negli Stati Uniti, che tanto parlano di pluripartitismo, esistono due partiti talmenti uguali nei metodi, obiettivi e propositi, che nella pratica sono riusciti a creare il più completo sistema a partito unico che esista nel mondo. In questo "democratico paese", il 50 per cento dei cittadini non vota, e la "squadra" che più fondi racccoglie, è solita vincere soltanto con il 25 per cento degli elettori. Tutta la politica si riduce a querele, vanità e ambizioni personali o di gruppi di interesse dentro il modello economico e sociale instaurato. Non esiste alcuna alternativa di cambio del sistema. Nei piccoli paesi anglofoni dei Caraibi, che recentemente hanno raggiunto l’indipendenza, funziona un sistema di carattere parlamentario più efficente, e fintanto la "squadra" che governa mantiene il consenso, conserva il potere. E’ molto più stabile del regime presidenzialista imposto al resto dell’America Latina copiando il modello degli Stati Uniti. In quasi due secoli non è cambiato niente.
 
Sotto il capitalismo, persino nei paesi più industrializzati, governano in realtà le grandi imprese nazionali e internazionali. Esse decidono il negozio e lo sviluppo. Sono responsabili della produzione materiale, dei servizi economici essenziali e di gran parte dei servizi sociali. Lo Stato semplicemente riscuote imposte, le distribuisce e le spende. In molti di questi paesi il governo intero può andarsene in vacanza senza che nessuno se ne accorga.
 
Il sistema capitalista svilupato, che risultò più tardi nel moderno imperialismo, ha imposto alla fine un ordine neoliberale e globalizzato che è semplicemente insostenibile. Ha creato un mondo di speculazione, di formazione fittizia di ricchezze e valori che non ha niente a che vedere con la produzione reale, e patrimoni personali favolosi, alcuni dei quali superano il Prodotto Interno Lordo di decine di paesi poveri. Sarebbe superfluo aggiungere il saccheggio, lo sfruttamento delle risorse naturali del mondo e la vita miserabile di migliaia di milioni di persone. Non promette niente all’umanità e non serve a niente come non sia alla sua autodistruzione e a distruggere forse con lui le condizioni naturali che servono di sostegno alla vita dell’uomo nel pianeta.
 
Non è arrivata la fine della storia come alcuni eufurici illusi immaginarono. Forse comincia realmente adesso.

F.M.- Quarantun anni dopo la Rivoluzione, e nonostante tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare, il regime che lei ha stabilito ha resistito. A cosa si può attribuire questa longevità?
 
F.C.- Alla lotta e al lavoro instancabile insieme al popolo e per il popolo. Persistere nelle convinzioni; essere conseguente; credere nell’uomo; essere schiavi e non padroni del paese; costruire su dei solidi principi; creare, cercare soluzioni persino in condizioni apparentemente impossibili e irreali; garantire l’onestà totale di quelli che occupano le più alte responsabilità politiche e amministrative; trasformare la politica in un sacerdozio. Questa può essere in parte la risposta alla sua domanda, senza entrare a considerare altri fattori peculiari del nostro paese e della nostra epoca.
 
Certamente, tutti pensavano che Cuba non avrebbe potuto resistere dopo il crollo dei paesi del campo socialista e dell’URSS. In più si potrebbero domandare come fu possibile con un doppio blocco e la guerra economica e politica che ci impose la potenza più forte che sia mai esistita, senza Fondo Monetario Internazionale, senza Banca Mondiale, senza prestiti. Riuscimmo, tuttavia, a realizzare la prodezza. In una riunione di vertice celebrata da poco all’Avana, dissi con una certa ironia che era stato possibile perché avevamo il privilegio di non appartenere al FMI.
 
Ci furono tempi in cui nuotavamo in un mare di circolazione monetaria; la nostra moneta si svalutò in maniera straordinaria, il deficit calcolato raggiunse il 35 per cento del Prodotto Interno Lordo. Osservai visitanti intelligenti spaventarsi quasi fino allo svenimento. Il nostro peso, la moneta nazionale, vide ridursi il suo valore nel 1994 a 150 pesos per un dollaro. Indipendentemente da questo, non chiudemmo un solo centro della sanità, una sola scuola o asilo nido, una sola università, un solo centro sportivo; nessuno fu cacciato in strada senza lavoro né si trovò senza previdenza sociale, seppur mancavano il combustibile e le materie prime; non ci fu il minor segno delle consuete e odiose politiche di shock tanto raccomandate dalle istituzioni finanziarie dell’Occidente.
 
Ogni misura adottata per affrontare il terribile colpo fu discussa non solo nell’ Assemblea Nazionale, ma anche in cento mila assemblee che avevano luogo in fabbriche, centri di produzione e di servizi, sindacati, università, scuole di livello medio e in tutte le organizzazioni di contadini, di donne e di altre di carattere sociale. Il poco di cui disponevamo venne distribuito con il massimo dell’equità possibile. Vincemmo il pessimismo dentro e fuori del paese.
 
In questi anni critici, si radoppiò il numero dei medici, migliorò la qualità della nostra istruzione, il peso cubano venne rivalutato sette volte: da 150 pesos per un dollaro si arrivò a 20 per uno, tra il 1994 e il 1998, mantenedosi d’allora in poi regolarmente stabile. All’estero non si esportò un solo dollaro. Si acquisì esperienza ed efficenza per rispondere all’immensa sfida che avevamo davanti. Sebbene non siamo arrivati ancora ai livelli di produzione e consumo che avevamo quando si produsse il disastro socialista in Europa, noi siamo andati avanti recuperandoci con passo fermo e visibile; gli indicatori di educazione, salute, previdenza sociale e molti altri aspetti sociali, che erano orgoglio del paese, li abbiamo mantenuti, alcuni sono stati persino superati.
 
Il grande eroe di questa prodezza fu il popolo, che apportò i suoi grandi sacrifici e la sua immensa determinazione. Era il frutto della giustizia e delle idee coltivate durante più di 30 anni di Rivoluzione. Questo vero miracolo sarebbe stato impossibile senza l’unità e senza il socialismo.
 
F.M.- Tenendo conto che il vasto movimento della globalizzazione prende forma su scala mondiale, non sarebbe forse conveniente aprire di più l’economia cubana al resto del mondo?
 
F.C.- Abbiamo aperto l’economia nella misura possibile e necessaria. Non abbiamo commesso le pazzie e le insensatezze che ebbero luogo in altre parti che ricevevano, come se fossero profeti bibblici, i consigli di esperti europei e nordamericani. Non ci conquistò la pazzia delle privatizzazioni, molto meno quella di confiscare i beni dello Stato per impossessarcene o per regalarli a parenti o amici. Questo accadde, come si sa, tanto in paesi ex socialisti come in altri che non lo erano, sotto il manto pietoso, tollerante e complice della filosofia neoliberale che si transformò in una pandemia universale. L’Occidente lo sa molto bene e sa anche dove sono i depositi del denaro e quale fu il destino dei fondi malversati o rubati, però nessuno dice una parola.
 
Non abbiamo tentato di commettere la sciochezza di adattare Cuba al caotico mondo attuale e alla sua filosofia; quello che abbiamo fatto è adattare le sue realtà alle nostre, mentre lottiamo insieme a molti altri paesi del cosiddetto Terzo Mondo, per il nostro diritto allo sviluppo e alla sopravvivenza. Forse noi, i vecchi colonizzati, aiutiamo perció la minoranza dei paesi superricchi, quasi tutti vecchie metropoli, anche a salvarsi.

F.M.- Nessuno mette in dubbio i progressi sociali e culturali di Cuba. Però, ritornando alla mia domanda precedente, non potrebbero queste relazioni essere favorite da un incremento degli scambi con l’estero?
 
F.C.- E’ certo, come tu dici, che abbiamo raggiunto importanti progressi sociali difficili da negare. Non ci sono bambini senza scuola né analfabeti. Lo sviluppo delle nostre università è notevole. Contiamo su numerosi centri di ricerca che realizzano un lavoro di grande qualità e importanza. Ogni bambino riceve 13 vaccini, quasi tutti prodotti nel paese, come la maggior parte delle medicine che consumiamo. Allo stesso tempo, stiamo inviando gratuitamente migliaia di medici a prestare servizio in zone lontane e povere dell’America Latina, dei Caraibi e dell’Africa, per realizzare programmi integrali di salute. Questo è possibile perché disponiamo di un abbondante capitale umano. Abbiamo invitato i paesi più sviluppati a cooperare con l’invio di medicine. Stiamo concedendo egualmente migliaia di borse di studio a giovani del Terzo Mondo per studiare medicina e altre specialità universitarie. In ogni paese dell’Africa che partecipa ai programmi integrali di salute, aiutiamo a creare delle facoltà dove possano formarsi un giorno le centinaia di migliaia di medici che necessitano.
 
Nessuno si immagina quanto può fare un piccolo paese del Terzo Mondo con pochi mezzi quando esiste un vero spirito di solidarietà. Rispondendo alla tua domanda, senza dubbio questo sforzo che realizza il nostro paese sarebbe notevolmente favorito da un incremento dell’interscambio con l’estero, tanto in beneficio della nostra Patria come di altre nazioni.

F.M.- La scomparsa dell’URSS privò all’improvviso Cuba di un prezioso aiuto. Mantenendo il suo embargo nonostante la fine del confronto Est-Ovest, quale era, secondo lei, il calcolo degli americani? Speravano di influire nel su modo di governare?
 
F.C. Non tentavano di influire nella Rivoluzione ma di distruggerla. Come accadde nel Senato dell’antica Roma, quando nei giorni di Annibale si proclamò la distruzione di Cartagine, così il moto ossessivo dei governi degli Stati Uniti era: Cuba deve essere distrutta.
 
La scomparsa dell’Unione Sovietica e il crollo del campo socialista europeo non ci prese totalmente di sorpresa. Avvertimmo molto tempo prima il nostro popolo di questa possibilità. Con gli errori stupidi che stavano commettendo e le concessioni vergognose che continuamente facevano all’avversario storico, vedevamo incalzare gli avvenimenti.
 
Nel terreno economico,il danno per Cuba fu terribile. Il nostro zucchero non riceveva il prezzo corrispondente nell’immondezaio mondiale. Avevamo raggiunto un prezzo di carattere preferenziale come quello che gli Stati Uniti e l’Europa applicavano alle importazioni di questo prodotto. Le erogazioni di combustibile, alimenti, le più svariate materie prime e componenti di macchina e fabbriche cessarono quasi subito. Il consumo diario di calorie si ridusse da 3000 a 1900 e quello delle proteine da 80 a 50 grammi. Ci fu chi dimagrì, però la immensa maggioranza affrontò le difficoltà con coraggio, onore e decisione impressionante.
 
Come già dissi, riuscimmo a mantenere importanti indicatori, alcuni persino migliorarono. La mortalità infantile fu ridotta di circa un 40 per cento in questo periodo, e 30000 nuovi medici, con eccellente livello di preparazione, si incorporarono alle comunità. Nella sfera sportiva, i nostri atleti continuarono occupando un posto onorevale tra i primi del mondo e con il più alto indice di medaglie d’oro pro capite nelle Olimpiadi, nonostante l’enorme pressione con la quale gli Stati Uniti e altri paesi ricchi cercano di comperare scienziati, illustri professionisti e atleti cubani.
 
F.M.- Questo non vuol dire che l’embargo rappresenta un’altra prova facile in più da superare dal popolo cubano.
 
F.C.- Certamente, il blocco è una imposizione penosa per ogni cubano. I paesi del Terzo Mondo, così come tutti i paesi membri delle Nazioni Unite, hanno chiesto più volte che cessi il blocco; però il Congresso nordamericano, con la cooperazione di molti membri della maggioranza repubblicana, capegggiata in questo caso dai signori Helms e Burton, e persino con l’appoggio di vari membri del Partito Democratico comeTorricelli e altri, si sono opposti all’eliminazione di un blocco che è diventato ormai il più lungo della storia.
 
F.M.- Gli Stati Uniti non sono gli unici che impongono qualsiasi tipo di condizione. L’Unione Europea ha cercato di introdurre una "clausola democratica" nelle relazioni commerciali europeo-cubane. Che pensa di questo atteggiamento?
 
F.C.- E’ significativo che l’Unione Europea si mostri molto meno "preoccupata" con altri paesi, senza dubbio perché rappresentano un interesse economico maggiore di quello che noi possiamo rappresentare. In ogni caso , non sono ammissibili condizioni di nessun tipo quando si tratta di principi inalienabili della nostra Patria. La forma di organizzazione politica di una nazione sovrana non può essere sottomessa a condizioni. Cuba non negozia né vende la sua Rivoluzione , che è costata il sangue e il sacrificio di molti dei suoi figli.
 
D’altra parte, tutto dipende da quello che si intende come "clausola democratica". Quanti Stati chiamati "democratici" sono indebitati fino al collo? Quanti di questi permettono che il 30 per cento della loro popolazione viva in condizioni di estrema povertà? Perché paesi che hanno migliaia di bambini che vivono nelle strade e innumerevoli analfabeti, devono essere trattatti meglio di noi? Non capiamo il perché. Cuba non accetterà mai condizioni politiche dall’Unione Europea e tanto meno dagli Stati Uniti. E’ meglio che si capisca questo.
 
Noi non discutiamo se in Europa ci sono monarchie o repubbliche, conservatori o socialdemocratici al potere, difensori o avversari di una idillica terza via; giri verso la sinistra, il centro o la destra; apologisti o detrattori del cosiddetto "stato di benessere" con il quale si tenta di mascherare il male incurabile della disoccupazione. Non siamo nemmeno nell’obbligo di immischiarci in quello che fanno le teste rasate delle tendenze neonaziste che risorgono. Anche se abbiamo opinioni su questo e su molti altri temi, non possiamo introdurre clausole rivoluzionarie nelle nostre relazioni con l’Europa. Nutriamo la speranza che gli europei se le aggiustino da sé.
 
F.M.- Dal maccartismo, Washington ha la tendenza a considerare che gli unici regimi che sono dannosi e che devono essere eliminati sono i regimi comunisti. Però la Casa Bianca ha tollerato senza battere ciglio i Somoza, i Trujillo, i Duvalier e altri. Che riflessione le inspira questa visione del mondo a due velocità?
 
F.C.- E’ meglio che non approfondisca nel tema dell’ ipocrisia e indecenze di questa politica. Sarebbero necessarie molte ore e lunghi riferimenti storici. All’industria della menzogna un giorno toglieranno il mercato, glielo stanno togliendo già. Se cerca veramente nella realtà, si renderà conto che la concezione politica dell’imperialismo, come quella dell’ordine economico e della globalizzazione neoliberale imposte al mondo, è orfana e indifesa nel terreno delle idee e dell’etica. E’ in questo campo dove si deciderà la lotta principale del nostro tempo. E il risultato finale di questa battaglia, senza alternativa possibile, sarà dalla parte della verità e per tanto dalla parte dell’umanità.

F.M.- Segue da vicino il processo elettorale nordamericano?
 
F.C.- Certamente, non solo la campagna presidenziale, ma anche altri aspetti della grande commedia. Per citare un esempio: la lotta per il posto al Senato di Nueva York. In quanto a Hillary Clinton, ricordava l’occasione nella quale tanto brillò difendendo davanti al Congresso con un programma sociale in favore dei servizi medici che oggi sono inacessibili ai milioni di nordamericani poveri.
 
L’ascoltai anche con tanto interesse quando parlò davanti all’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra. Fu franca, persuasiva e sembrava onesta. Si comportò con grande dignità quando la famiglia si vide coinvolta in una dura e dolorosa crisi. Però a volte i suoi assessori non la consigliano bene, come nel caso dei portoricani liberati dal governo di Clinton dopo una lunga, crudele e spietata prigionia, mostrandosi pubblicamente ostile a questa riduzione di condanne. Posso aggiungere, inoltre, che recentemente, nel caso del bambino sequestrato Elián González, adottò una posizione equivoca e poco etica nel proclamare che il padre del bambino doveva disertare, una grave e gratuita offesa ad un patriota onesto, dichiarazione che coincideva non solo nel contenuto ma anche quasi in data con il candidato repubblicano alla Presidenza.
 
Infine, quando persone all’apparenza oneste si vedono coinvolte nella voragine della politica elettorale degli Stati Uniti, corrono il rischio di perdere prestigio e riconoscimento.
 
F.M.- Fin dove può arrivare il processo di privatizzazione a Cuba? In quanto alla "dollarizzazione" dell’economia, non è un affronto inflitto al tempo stesso al socialismo e alla sovranità monetaria del paese?
 
F.C.- Ti ho già detto che le privatizzazioni si devono realizzare con molto senso comune e saggezza, senza nessun genere di pazzie. Bisogna distinguere molto bene il lavoro che per la propria natura è specificatamente individuale e molte volte manuale e artigianale, dove la produzione a scala e la tecnologia non hanno un ruolo fondamentale e quello dove gli investimenti richiedono capitale. D’altra parte ci sono investimenti che richiedono capitale, tecnologia e mercati, in cui può essere altamente conveniente l’associazione con imprese straniere. I possibili giacimenti nei 110 chilometri quadrati che corrispondono a Cuba del Golfo del Messico non potrebbero essere esplorati e sfruttati dal nostro paese senza la tecnologia e i capitali che vengono dall’estero.
 
Dall’altra parte, all’interno del paese, nel conseguimento delle più alte qualità e rendimenti in coltivazioni come il tabacco speciale (lavoro di consacrati e quasi fanatici amanti di questa coltivazione che deve essere manuale e in piccoli terreni) non ci sono maccchine né grandi imprese che possano sostituire il lavoro dell’uomo individuale. A coloro che posseggono queste qualità, si dà gratuitamente la terra perché la coltivino per proprio conto. Sarebbe assurdo, al contrario, fare questo con grandi piantagioni di canna da zucchero altamente meccanizzate.
 
Ci sono nell’agricoltura cubana svariate forme di proprietà: individuale, cooperative di vario tipo, con meccanismi di cooperazione, ammasso e commercializzazione di diversi prodotti, e persino imprese statali specializzate, che abbiamo sviluppato con esito nel nostro paese.
 
Esistono egualmente, nei più svariati rami dell’economia, associazioni di produzione e commercializzazione con imprese straniere che funzionano perfettamente.
 
Non si deve semplificare il tema dell’economia. Come principio generale, a Cuba niente che sia conveniente e possibile mantenere come proprietà di tutto il popolo o di un collettivo di lavoratori, sarà privatizzato.
 
La nostra ideologia e la nostra preferenza è socialista, per niente affine all’egoismo, ai privilegi e alle disuguaglianze della società capitalista. Nella nostra Patria niente passerà alle mani di un alto funzionario, e niente si regalerà a complici e amici. Niente che possa essere sfruttato con efficenza o con elevato rendimento dalla nostra società passerà alle mani di nazionali o stranieri. Al tempo stesso ti posso assicurare che non c’è investimento più sicuro al mondo di quelli che, protetti dalle leggi e dall’onore del paese, sono stati autorizzati a Cuba.
 
Sul riferimento che hai fatto in relazione alla dollarizzazione dell’economia, debbo dirti due cose: primo, l’economia mondiale è attualmente dollarizzata. Dopo Bretton Woods, gli Stati Uniti ottennero il privilegio di coniare la moneta di riserva dell’economia mondiale; secondo, a Cuba esiste una moneta nazionale che non è per niente diretta dal Fondo Monetario Internazionale. E che, come ho già detto, ha compiuto la prodezza di essersi rivalutata sette volte in tempi record. Non esiste evasione del capitale. Inoltre è apparso il "peso convertibile" pari al dollaro, e la libera circolazione di questo fu semplicemente una necessità imprescindibile, mai però frutto di una concezione economica. Nel futuro penso che non sarà mai necessario ritornare a proibire il possesso di dollari o altra valuta straniera, però la sua libera circolazione nel pagamento di molti prodotti e servizi sarà solo per il tempo che gli interessi della Rivoluzione considerino conveniente. Siamo per tanto in condizioni di non preoccuparci in assoluto per la famosa frase dollarizzazione dell’economia. Sappiamo perfettamente quello che stiamo facendo.
 
F.M.- Fidel, nel 1997, all’Avana, lei mi ha detto in pubblico: "Federico, oggi non abbiamo la neccessità di rivoluzioni. In avanti, la lotta consiste nel condividere meglio. Il nostro obbiettivo non è la lotta di classe, bensì l’avvicinamneto delle classi nell’ ambito di una coesistenza giusta e pacifica". Tre anni dopo, segue pensando nella stessa forma?
 
F.C.- Non sono sicuro di essermi espresso qualche volta esattamente così. Forse ci può essere stata qualche confusione di linguaggio o di interpretazione, perché alcuni di questi punti sono abbastanza lontani dalle mie idee.
 
Poco tempo fa, partecipai ad un incontro internazionale di economisti a cui parteciparono rappresentanti di paesi devastati il cui servizio del debito supera il 40 per cento del bilancio, un debito acquisito "molto democraticamente" dai governi precedenti e anche attuali. Si osserva un grande sentimento di impotenza di fronte alle provocazioni di una globalizzazione che si propone come inevitabile, che però finora è segnata dal funesto neoliberalismo. In questo incontro, i rappresentanti della Banca Interamericana dello Sviluppo e della Banca Mondiale difesero il loro punto di vista con assoluta libertà, però le conclusioni furono molto chiare per molti dei presenti sul carattere insostenibile dell’ordine economico imperante.
 
Non possiamo andare avanti per la strada che allontana ogni giorno di più i paesi poveri da quelli ricchi, e che all’interno di essi genera disuguaglianze sociali ogni volta più gravi. Nell’immediato, l’integrazione per l’America Latina e i Caraibi è fondamentale. Solo uniti potremo rinegoziare le condizioni del nostro ruolo in questo emisfero. Dico ciò in relazione alla necessità di unire gli sforzi dei paesi del Terzo Mondo di fronte al potente e insaziabile club dei ricchi. Ho detto in varie occasioni che questo compito di integrare e unire gli sforzi non può aspettare che si producano in primo luogo dei cambiamentii sociali profondi o rivoluzioni sociali in ognuno di questi paesi. Ho anche affermato che essendo insostenibile l’attuale ordine economico mondiale, questo affronta il rischio molto reale di un disastro catastrofico, che farà impallidire il disastro e la prolungata crisi che si originò nel 1929 quando le borse degli Stati Uniti, le cui azioni erano state gonfiate oltre il sopportabile, scoppiarono. Neppure l’entusiasta e esperto Greenspan, presidente della Riserva degli Stati Uniti (i cui occhi insonni non si staccano neanche un minuto dai dati statistici che sono inviati da questa roulette incontrollabile che è il sistema speculativo nel quale appostano e tengono investiti i loro risparmi il 50 per cento delle famiglie nordamericane) oserebbe di assicurare che tale rischio non esiste. Il rimedio per evitarlo non è stato inventato né si potrá inventare dentro tale sistema. Incessantemente insisto nella necessità di aprire gli occhi di fronte a queste realtà. Si può produrre un disastro prima che i popoli siano preparati per questo. I cambiamenti non usciranno dalla testa di nessuno, però le teste devono essere preparate per questi cambiamenti inevitabili, i quali avranno le più svariate forme e seguiranno le più svariate vie, senza escludere nessuna, sebbene esse, dal mio punto di vista, nasceranno fondamentalmente come frutto delle azioni delle masse, che nessuno potrà contenere.
 
Senza dubbio non sarà facile. La cecità, la superficialità e la irresponsabilità della cosiddetta classe politica faranno il cammino più difficile, però non inespugnabile.
 
F.M.- Esiste per i poveri la minima possibiltà di accedere ad una vita migliore nei prossimi venti anni?
 
F.C.- L’umanità comincia ad essere consapevole. Osservi quanto è successo a Seattle e a Davos.
 
Si ricordano con frequenza gli orrori dell’olocausto e i genocidi che sono avvenuti durante il secolo, però ci si dimentica che ogni anno, a causa dell’ordine economico di cui parliamo, muoiono di fame o di malattie che si possono prevenire, decine di migliaia di persone. Si possono addurre statistiche di crescita apparentemente positive, però alla fine le cose continuano uguali o peggiori per i paesi del Terzo Mondo. La crescita si adagia molte volte sull’accumulazione di beni di consumo che non contribuiscono per niente ad un vero sviluppo e a una migliore distribuzione della ricchezza. La grande realtà è che dopo vari decenni di neoliberalismo, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri.
 
F.M.- Durante l’ultimo vertice del Gruppo dei 77 che ebbe luogo in aprile all’Avana, lei formulò una serie di idee per riformare l’ordine internazionale. Può riprendere queste proposte?
 
F.C.- Lì parlai a favore della cancellazione del debito estero dei paesi meno svilluppati e per un attenuamento considerevole di quello di molti altri paesi. Mi pronunciai egualmente per la soppressione del Fondo Monetario Internazionale. Ormai è ora che i paesi del Terzo Mondo si liberino da un meccanismo che non è stato capace di assicurare la stabilità nel mondo. In un contesto più generale, criticai gli effetti nefasti di questa politica ipocrita che è il neoliberalismo, per tutti i paesi sottosviluppati e in particolare per quelli dell’America Latina e dei Caraibi. Dissi che c’era bisogno di una Norimberga per giudicare il genocidio che produce l’attuale ordine mondiale.
 
F.M.- Questo è un poco esagerato!
 
F.C.- Forse è il contrario: un po’ moderato. Per la precisione voglio citare solo alcuni brani del discorso di chiusura del Vertice Sud:
 
"Prima si parlava dell’apartheid in Africa; oggi possiamo parlare dell’apartheid nel mondo, dove più di 4000 milioni di persone vengono private dei più elementari diritti dell’esssere umano: la vita, la salute, l’educazione, l’acqua potabile, gli alimenti, la casa, il lavoro, la speranza nel proprio futuro e in quello dei propri figli. A questo passo, presto non ci resterà né l’aria che respiriamo, sempre più avvelenata dalle sperperatrici società di consumo che contaminano gli elementi essenziali della vita e distruggono l’habitat umano.
 
[...]
 
"Il mondo ricco pretende dimenticare che le cause del sottosviluppo e la povertà furono la schiavitù, il colonialismo, il brutale sfruttamento e saccheggio a cui furono sottoposti per secoli i nostri paesi. Ci guardano come a dei popoli inferiori. Attribuiscono la povertà che soffriamo alla presunta incapacità degli africani, degli asiatici, degli abitanti dei Caraibi e dei latinoamericani, vale a dire, i neri, gli indios, i gialli, i meticci di svilupparci e persino di governarci.
 
[...]
 
"Ho la più ferma convinzione che l’attuale ordine economico imposto dai paesi ricchi non solo è crudele, ingiusto, inumano, opposto al corso inevitabile della storia, ma anche portatore di una concezione razzista del mondo come quelle che a suo tempo ispirarono in Europa il nazismo dell’olocausto e dei campi di concentramento, che oggi nel Terzo Mondo chiamano centri per rifugiati, e che sono realmente concentrati dalla povertà, dalla fame e dalla violenza; le stesse concezioni razziste che ispirarono in Africa il mostruoso sistema dell’apartheid.
 
[...]
 
"Lottiamo per i più sacri diritti dei paesi poveri; però stiamo anche lottando per la salvezza di questo Primo Mondo, incapace di preservare l’esistenza della specie umana, di governarsi da solo in mezzo alle sue contraddizioni e interessi egoistici, e molto meno di governare il mondo, la cui direzione deve essere democratica e condivisa; stiamo lottando (quasi si può dimostrare matematicamente), per conservare la vita nel nostro pianeta"
 
In una parola Federico: è urgente lottare per la nostra sopravvivenza, quella di tutti paesi, poveri o ricchi, poiché siamo tutti nella stessa barca. E in questo senso, nel Vertice feci una proposta molto concreta su un tema delicato e complesso: chiesi ai paesi esportatori di petrolio del Terzo Mondo di concedere dei prezzi preferenziali ai paesi più arretrati, nello stile di quello che si è fatto con il "Patto di San José", firmato venti anni fa tra Venezuela e Messico, che permette ai paesi di Centroamerica e i Caraibi di comperare petrolio in condizioni più favorevoli.
 
F.M.- Ha un giudizio tanto severo sulle Nazioni Unite?
 
F.C.- No, affatto, anche se considero anacronistica la sua struttura. Dopo 55 anni di esistenza, è necessario rifondare l’organizzazione. Le Nazioni Unite devono meritarsi il proprio nome: devono essere realmente unite per obiettivi veramente umani e trascendentali. Tutti i paesi, grandi e piccoli, sviluppati e sottosviluppati, devono avere la possibilità reale di far ascoltare la propria voce. L’ONU dovrebbe costituire un grande spazio di incontro dove tutte le opinioni e punti di vista possano esprimersi ed essere dibattuti. Il suo funzionamento deve essere realmente democratico. E’ importante che dentro gli organi delle Nazioni Unite ci siano gruppi come il Gruppo dei 77 e il Movimento dei Paesi non Allineati. La struttura delle Nazioni Unite deve essere trasformata perché l’ organizzazione svolga il ruolo importante che le corrisponde nel mondo di oggi. Lo sviluppo sociale, per esempio, costituisce atualmente una delle necessità più drammatiche del Terzo Mondo, e la missione della Banca Mondiale non è apportare fondi per risolvere crisi finanziarie; fu creata per promuovere lo sviluppo sociale, il cui ritardo è oggi la maggior catastrofe della nostra epoca.

F.M.- Quando guarda la mappa del mondo, che cambiamenti le farebbe?
 
F.C.- Penserei ad un mondo degno della specie umana, senza nazioni super ricche e sprecatrici di fronte a innumerevoli paesi sottomessi alla indigenza; un mondo in cui tutte le identità e culture fossero preservate, un mondo con giustizia e solidarietà; un mondo senza saccheggi, oppressioni e guerre, dove la scienza e la tecnica fossero al servizio dell’uomo; un mondo dove la natura fosse protetta e la numerosa folla di persone che oggi siamo possa sopravvivere, crescere e godere delle ricchezze spirituali e materiali che la sua inteligenza e il suo sforzo sono capaci di creare.
 
Non serve chidermelo. Sogno un mondo che, a partire dalla filosofia del capitalismo, sarà impossibile raggiungere mai.
 
F.M.- Che cosa pensa dell’evoluzione dell’America Latina nel suo insieme?
 
F.C.- Penso che ha perso quasi 200 anni di storia nel suo sviluppo sociale e nella sua integrazione politica . Alcuni paesi dell’America Latina hanno più risorse economiche di Cuba, che ha un blocco da più di 40 anni. Però se lei guarda bene, risulta che in molti di essi la terza parte della popolazione non sa leggere né scrivere, che milioni di latinoamericani non hanno un tetto dove albergare, che i paesi sono indebitati al punto tale che risulta praticamente impossibile il loro sviluppo. Il debito latinoamericano è talmente grande che molte nazioni della regione, qualunque sia il loro Prodotto Interno Lordo, non garantiscono una degna qualità di vita alla maggior parte dei suoi cittadini. Le loro economie, che in cifre macroeconomiche sembrano a volte andare bene, sono cadute nelle mani di grandi potenze finanziarie e tecnologiche.
 
Da tutte queste economie vengono espatriate, in paesi ricchi, somme di capitale il cui ammontare nessuno può calcolare. Le loro deboli monete son indifese di fronte agli attacchi degli speculatori. Le riserve di valuta con cui pretendono di difenderle ad un elevato costo di fondi inerti, che non contribuiscono in niente allo sviluppo economico e sociale, si dissolvono in pochi giorni davanti a qualsiasi pericolo di svalutazione. Le entrate che provengono dalle privatizzazioni che alienano il patrimonio nazionale, spariscono senza apportare alcun beneficio. Di fronte ad una minaccia di crisi finanziaria o di svalutazione, tutti i capitali si trasformano in rondini, sia i prestiti che si ricevono a breve termine, sia quelli dei nazionali intimoriti dal rischio imminente di veder calare i loro risparmi. Le solite formule di alzare senza limiti i tassi di interesse, rende caotica e complica tutta la vita economica del paese. L’America Latina, come il resto del Terzo Mondo, è vittima di un ordine economico internazionale che le è stato imposto, di cui già dissi che era insostenibile. Divisi e balcanizzati come sono, e sedotti da ingannevoli illusioni di progresso e sviluppo che infondono i canti delle sirene di un trattato di libero commercio emisferico, i paesi dell’America Latina corrono il rischio di perdere definitivamente la propria indipendenza ed essere annessi dagli Stati Uniti.
 
F.M.- Mi piacerebbe trattare un tema delicato: aquello della libertà di espressione e di pensiero. Il regime cubano è attaccato regolarmente per la sua politica repressiva nella materia...
 
F.C.- So già quello che mi vuoi chiedere. Prima vorrei chiederti se in qualche regione del mondo dove la immensa maggioranza dei cittadini sono analfabeti totali o funzionali, si può parlare di libertà di espressione o di pensiero. Sembrerebbe una spietata beffa. Però, c’è di peggio. Molte persone nel mondo non solo mancano di libertà di pensiero; le hanno distrutto la possibilità di pensare. A migliaia di milioni di esseri umani, inclusa una parte importante di quelli che vivono in società sviluppate, si dice quale bibita bere, quale sigaretta fumare, quale vestito indossare, quali scarpe usare, con che e con quale marca di prodotto debbono alimentarsi. Le loro idee politiche sono somministrate nella stessa forma. Un milione di milioni di dollari si spendono ogni anno in pubbblicità. Questa pioggia cade su masse indifese le quali vengono private totalmente di elementi di giudizio e di conoscenze per pensare e comprendere. Questo non è mai accaduto nella storia dell’umanità. L’uomo primitivo aveva più libertà di pensare. José Martí disse: "Essere istruiti per essere liberi". Bisogna aggiungere di più: senza cultura non c’è libertà possibile. Istruzione e cultura è quello che ha offerto la Rivoluzione al nostro popolo, molto di più di una grande quantità di paesi sviluppati, che non perché vivono in società consumistiche sono colti. A volte fa rabbrivvidire la superficialità e vaghezza delle loro conoscenze. Cuba ha aumentato a 9 classi la conoscenza media della sua popolazione. Questo non costituisce che una base. Con dieci anni in più la sua cultura sarà a livello di laureato universitario e sarà integrale e non frazionata. Sono state create tutte le condizioni. Nessuno potrà impedire che raggiungiamo la condizione di essere il popolo più colto della terra, e oltre a questo arrivare a possiedere una profonda cultura politica, non dogmatica né settaria; cultura politica della quale tanto mancano le nazioni più ricche del pianeta. Al servizio di un obbiettivo così nobile, porremo le favolose tecnologie create dall’uomo e senza pubblicità commerciale. Sarebbe meglio aspettare un po’ per parlare di vere libertà di espressione e di pensiero, qualcosa che non potrà mai essere conciliata con un brutale sistema economico e sociale capitalista che è la negazione della cultura, della solidarietà e dell’etica.
 
F.M.- In che modo pensa di contribuire lo Stato cubano a questa esigenza?
 
F.C.- In parte ho già risposto a questa domanda. In quanto ai passi concreti che stiamo facendo, mi piacerebbe farlo con maggior profondità in un’altra intervista.
 

F.M.- Da qualche anno, nell’isola siamo in presenza della nascita di un embrione di opposizione: gruppi di dissidenti che incominciano ad organizzarsi. In queste condizioni, forse non sarebbe ora che il regime si apra al pluripartitismo?
 
F.C.- La vera opposizione sorse quando si produsse la più profonda Rivoluzione sociale di questo continente nel bel mezzo della guerra fredda e a 90 miglia dagli Stati Uniti, che la ha organizzata e diretta durante più di 40 anni.
 
La Rivoluzione spazzò via centinaia di privilegi e attaccò gli interessi dei settori più ricchi e influenti della società cubana; al tempo stesso attaccò le grandi imprese agricole, minerarie, industriali, commerciali e di servizi che gli Stati Uniti avevano creato a Cuba. Soffrimmo guerre sporche, invasioni mercenarie, pericoli di attacchi militari diretti, ed eravamo sull’orlo di una guerra nucleare.
 
Il capo di questa colossale attività controrivoluzionaria e di quello che venne in seguito, la guerra economica, politica e ideologica, fu e continua ad essere, fino ad oggi, il governo degli Stati Uniti. Il resto è pura finzione artificialmente creata e sempre ben finanziata dalla superpotenza, dai suoi alleati e lacchè, tutto avvolto in menzogne e calunnie che costituiscono la spina dorsale del sistema senza idee e senza etica, contrapposto ad una Rivoluzione che già subì, resistette e vinse le più dure prove, e a un popolo unito, combattivo e politicamente più forte. Non ci sarà alcuna apertura in questo senso. Non vediamo perché dobbiamo cooperare con la strategia degli Stati Uniti.
 
F.M.- La maggior parte dei suoi ministri non era nata quando trionfò la rivoluzione castrista.
 
F.C.- Questo dimostra che sono giovani e che ci sarà Rivoluzione per un pezzo.
 
F.M.- Quali sono attualmente i sogni del popolo cubano?
 
F.C.- Penso che ci siano 11 milioni di sogni.

F.M.- In che cosa differiscono dalla generazione precedente?
 
F.C.- Prima ognuno sognava la felicità per sé stesso e oggi tutti sognano la felicità per tutti.
 
F.M.- Non vorrebbe avvicinare di più la popolazione alla presa di decisioni politiche?
 
F.C.- Crede forse che senza una grande e unita partecipazione del popolo, Cuba e la Rivoluzione continuerebbero ad esistere?
 
F.M.- Dal trionfo della Rivoluzione la decima parte della popolazione cubana ha abbandonato l’isola. Come spiega questo esodo?
 
F.C.- Lei sta citando cifre. Cerco di ricordare le diverse migrazioni e mi sembra che le cifre siano inferiori, a meno che le stesse includano quelli che sono nati all’estero. Però questo non è importante. Prima della Rivoluzione i visti che ricevevano i cubani erano insignificanti. Con il trionfo di questa, le porte si aprirono. Dei 6 mila medici si portarono via la metà, altrettanto fecero con professori universitari e maestri. Fu una colossale estrazione di risorse umane. Però sopportammo il colpo fermi in piedi. A nessuno venne proibito di emigrare. Non fummo noi bensì loro che più di una volta chiusero le porte e stabilirono quote di visti legali. Il loro peggior crimine fu lo stimolo all’espatriazione illegale attraverso una mostruosa e assassina Legge chiamata di Aggiustamento Cubano, in virtù della quale qualsiasi persona, senza tener conto dei suoi precedenti penali, se esce illegalmente da Cuba attraverso qualsiasi via e arriva nel territorio degli Stati Uniti, riceve, senza una sola eccezione, il diritto di residenza in questo paese. Attraverso questa via hanno accolto molti delinquenti, sebbene non tutti lo siano, e non poche persone hanno perso la vita. Per questa stupida legge, unica al mondo, creata solamente per i cittadini cubani, si produsse il caso del bambino sequestrato che non aveva ancora compiuto 6 anni, Elián González, in un’avventura dove persero la vita 11 cubani.Se al Messico e al resto dell’America Latina fossero stati concessi, durante quasi 35 anni, tali privilegi, più della metá della popolazione degli Stati Uniti sarebbe latinoamericana e caraibica. Non esisterebbe oggi, tra il Messico e gli Stati Uniti, un muro molto più grande di quello di Berlino, dove muoiono ogni anno più emigranti di quelli che morirono durante gli anni di esistenza di quel muro. Offriate voi questo privilegio in Europa agli abitanti del Nord e del Sud del Sahara, e vedremo quanti emigrerebbero.
 
Dobbiamo dire che non abbiamo mai proibito l’emigrazione da Cuba verso gli Stati Uniti e il 90 per cento di quelli che lo hanno fatto lo hanno fatto per motivi economici.
 
F.M.- La questione del piccolo Elián ha svegliato gli ardori della comunità cubana esule a Miami. Che pensa della disssidenza cubana, tanto all’interno quanto nella Florida?
 
F.C.- Non capisco la differenza che ci può essere tra quella che tu chiami dissidenza esterna e interna. Sono esattamente la stessa cosa. Ambedue hanno la stessa origine e la stessa direzione. Ambedue sono strumento della politica degli Stati Uniti contro Cuba, ambedue sono imperialisti, antisocialiste e anessioniste. Quelli che furono promossi come capi della chiamata Fondazione Cubano-Americana (una aberrazione nata da quello che viene chiamato Documento di Santa Fé, piattaforma politica del partito Repubblicano del 1980 riferito a Cuba) erano quasi senza eccezione vecchi membri della CIA, o figli di noti criminali di guerra che scapparono verso gli Stati Uniti quando trionfò la Rivoluzione. La loro lista di crimini e misfatti commessi contro Cuba, prima come individui reclutati all’epoca dell’invasione mercenaria di Girón e dopo come membri della mafia cubano-americana menzionata, è interminabile. Uno dei propositi di Reagan e della sua squadra era trovare una maschera politica che presentasse, in nome di una supposta rappresentanza cubana, tutte le leggi o misure di blocco e guerra economica contro la nostra Patria. Ricevettero contratti e concessioni economiche privilegiate, trafficarono di tutto, persino droga, e acumularono abbondanti ricchezze. La creazione di una lobby per promuovere e cercare nel Congresso alleati all’estrema destra e ai congressisti più reazionari di qualunque dei due partiti nella loro politica aggressiva contro Cuba, fu una delle più importanti missioni che assegnarono loro.
 
Nel loro arsenale di azioni contro Cuba, c’era quella di appoggiare i gruppi terroristici apparentemente indipendenti per realizzare tutti i tipi di sabotaggi all’economia, crimini politici, introduzione di epidemie e guerra biologica. Finirono organizzando il loro proprio apparato militare e preparando innumerevoli piani per assassinarmi ogni volta che viaggiavo all’estero. Era una vera caccia all’uomo con pieno coinvolgimento e tolleranza delle autorità nordamericane. Con le abbondanti risorse che possedevano, consegnavano fondi di campagne a decine di legislatori di ambedue i partiti, chiaramente o sottobanco. Questi elessero legislatori del proprio gruppo e aiutarono ad eleggerne altri. L’appoggio ufficiale era totale. Ripugna tutto quello che fecero contro la nostra Patria. Il loro ultimo crimine fu il sequestro del piccolo che non aveva compiuto ancora 6 anni, che strapparono dalla sua legittima famiglia. Padroni della Florida, si credono con il diritto di sfidare le leggi e ordini dello stesso Governo. Terminarono calpestando e bruciando bandiere nordamericane. La colossale e stupida canagliata commessa con il bambino sequestrato fu la loro Waterloo politica. Sarà molto difficile che ritornino a raccogliere i pezzi sparsi di ciò che fu il considerevole potere e la influenza politica che avevano ottenuto, e armare con questi di nuovo qualcosa che serva.
 
Tanto spezzettata moralmente e politicamente quanto loro, sta l’altra faccia della strategia controrivoluzionaria degli Stai Uniti: i minuscoli gruppetti che sono stati promossi per molti anni per creare un fronte interno contro la solida e inammovibile unità e forza della Rivoluzione, a cui incentivano con fondi che arrivano per vie diverse e che appoggiano con tutti i mezzi pubblicitari possibili. Nelle radioemittenti sovversive che trasmettono dagli Stati Uniti e nella stampa della Fondazione, hanno i loro organi di divulgazione e diffamazione controrivoluzionaria. Lavorano spalla a spalla con la mafia cubano-americana. Sono coordinati direttamente dal personale dell’Ufficio di Interessi all’Avana, diplomatici cechi, polacchi e altri funzionari di ambasciate di paesi alleati o subordinati agli Stati Uniti.
 
La loro missione essenziale è ostacolare le relazioni diplomatiche ed economiche di Cuba, fornire con le loro provocazioni materiale pubblicitario per le campagne di propaganda, diffamazione e isolamento della Rivoluzione. In questi gloriosi e eroici anni di doppio blocco e periodo speciale, dove si decideva la vita o la morte della nostra Patria, le prodezze del nosto popolo li sconfissero isolandoli nel più profondo del pantano della loro infamia, e in quello che è assolutamente il più sicuro e degno del suo miserabile ruolo: l’oblio.
 
F.M.- Come apprese la notizia della liberazione del bambino da parte della polizia federale il 22 aprile?
 
F.C.- Quasi meravigliato che alla fine si fossero decisi a farlo, ed era qualcosa di estrema necesità. La vita del bambino correva un grave pericolo. La riunione con il padre, il fratellino, la nuova madre e i vari compagni di scuola ha provocato un cambiamento spettacolare nello stato d’animo e nella salute del bambino. Avanza rapidamente nei suoi studi, e nonostante i mesi di sequestro potrà concludere il corso scolastico. La questione fondamentale è ora il suo ritorno a Cuba. Penso che non ci sarà forma legale, morale o politica per tenerlo negli Stati Uniti. Il popolo nordamericano, in forma quasi totale, ha offerto il suo appoggio al ricongiungimento con suo padre e il ritorno a Cuba. Un gesto che noi ringrazieremo sempre.
 
F.M.- Come reagì davanti alla condanna di Cuba nella Commissione dei Diritti Umani dell’ONU, il 18 aprile del 2000, come risultato di una iniziativa della Repubblica Ceca e della Polonia? La critica che si fa a lei è che reprime violentamente i dissidenti politici e i gruppi religiosi...
 
F.C.- Rispetto al voto di Ginevra apparve chiaro che si trattò di un nuovo e ipocrita atto di ostilità e aggressione degli Stati Uniti contro Cuba, con la complicità attiva di alcuni governi di paesi ex socialisti che si prestarono a fare il gioco sporco dei nordamericani, e con l’appoggio dei loro complici europei che a Ginevra votano in blocco compatto uniti al loro alleato piú potente e capo della mafia della NATO. A smascherare la infame manovra non abbiamo avuto la minima vacillazione. Il nostro popolo la condannò unanimemente e formulammo categoriche denuncie contro i confabulatori, molte delle quali non hanno avuto risposta. Le repliche saranno ogni volta più dure e la battaglia contro Cuba sempre più difficile.
 
F.M.- Il Papa Giovanni Paolo II visitò L’Avana nel gennaio del 1998. Lo convinse?
 
F.C.- In realtá non mi ricordo che il Papa abbia cercato di convincermi di qualche cosa. Lo ricevemmo con la ospitalità e il rispetto che merita una persona tanto importante, di talento e carisma speciale. Parlammo insieme pubblicamente all’arrivo e alla partenza, e ognuno di noi espose con rispetto e dignità le proprie idee. Io fui breve: 14 minuti quando lo ricevetti e 5 minuti quando se ne andò. Ponemmo il paese nelle sue mani; gli abbiamo dato le più storiche piazze pubbliche, che furono scelte dagli organizzatori del viaggio; le nostre reti di televisione furono messe a sua disposizione; così come il trasporto che sollecitarono per la mobilizzazione, che era tutto quello su cui contava il nostro paese bloccato; invitammo i militanti del nostro partito, la Gioventú Comunista e le organizzazioni di massa ad assistere alle messe con la rigorosa istruzione di ascoltare con rispetto tutti i discorsi e senza un solo cartello, moto, o esclamazione rivoluzionaria. Centodieci reti di televisione straniere e 5 mila giornalisti ricevettero autorizzazione per divulgare tutto al mondo. Né un soldato per le strade, nessun poliziotto con arma. In nessuna altra parte del mondo è successo qualcosa di simile.
 
Alla fine gli organizzatori dei viaggi del Papa affermarono che era la visita meglio organizzata che aveva realizzato il Papa. Non accadde un solo incidente. Penso che portò con sé una grata impressione di Cuba. Ebbi l’opportunità di ammirare la sua capacità di lavoro e la abnegazione con la quale compiva rigorosamente i duri programmi che gli imponevano i suoi collaboratori. Chi ebbe una grande disillusione furono coloro che all’estero (e non erano pochi) immaginarono che la Rivoluzione sarebbe crollata come le mura di Gerico, davanti alla sola presenza del Papa. Sia la Rivoluzione che il Papa ne uscirono molto coscienti delle proprie forze.
 
F.M.- Nessuno è immortale, né i Capi di Stato né gli uomini comuni. Non pensa che sarebbe saggio preparare la sua sucessione, almeno per evitare al popolo cubano il trauma di una transizione caotica?
 
F.C.- So bene che l’uomo è mortale, e non preoccuparmi mai di questo è stata la chiave della mia vita. Quando un carattere ribelle mi portò alla difficile professione di lottatore rivoluzionario, cosa che nessuno mi impose, sapevo anche che era poco probabile che potessi vivere per molto tempo. Non ero Capo di Stato, ero un uomo molto comune. Non ereditai alcun carico e tantomeno sono Re, non necessito pertanto preparare sucessori e, in ogni caso, non sarà mai per evitare il trauma di una transizione caotica. Non ci sarà trauma, né sarà necessaria alcuna transizione.
 
La transizione di un sistema sociale all’altro si sta facendo da più di 40 anni. Non si tratta della sostituzione di un uomo con un altro.
 
Quando la rivoluzione vera si è consolidata e la semina di idee e di coscienza ha cominciato a dare i suoi frutti, nessun uomo, per importante che sia stato il suo apporto personale, è indispensabile. Non esiste a Cuba il culto della personalità. Nessuno vedrà nemmeno foto ufficiali, né strade né parchi o scuole che portano il nome di dirigenti vivi. Le responsabilità sono molto condivise e il lavoro distribuito tra molti. Numerose persone giovani e già sperimentate, insieme ad un gruppo meno numeroso di rivoluzionari veterani con i quali sono profondamente identificati, sono quelli che fanno funzionare il paese. E non bisogna dimenticare: esiste un partito con grande prestigio e autorità morale. Di che preoccuparsi?
 
F.M.- Quello che lei dice è molto corretto. Però, precisamente, di fronte all’impossibilità di mettere in moto da addesso uomini e strutture capaci di assumere il rilevamento arrivato il momento, non crede che aumenti il rischio che siano vulnerati questi risultati sociali?
 
F.C.- Il rilevamento al quale ti riferisci non solo e già preparato, bensì sta funzionando da abbastanza tempo.
 
F.M.- Lei ha il privilegio di essere diventato un mito in vita. Continuerà ad esserlo anche dopo la sua morte?
 
F.C.- Non sono io. Sono i governi degli Stati Uniti che mi hanno transformato in quello che tu chiami un mito, e se lo sono stato in vita è anche grazie al loro insuccesso negli innumerevoli tentativi di privarmi di essa. Chiaro che continuerò ad esserlo dopo morto. Forse si può sottovalutare il merito di aver lottato tanti anni contro un impero così potente?
 
F.M.- Fidel Castro, il cospiratore permanente. Questa immaggine appartiene ad un passato obsoleto?
 
F.C.- Al contrario, è diventata una abitudine tanto importante in me che dei miei segreti strategici più importanti nella mia lotta rivoluzionaria, non ne parlo nemmeno con 3me stesso. Preferisco raccontarli alla televisione.
 
F.M.- Perché vive di notte? Quando prepara i suoi discorsi?
 
F.C.- Vivo e quasi sempre lavoro a tutte le ore, di giorno e di notte. Forse dopo i 70 anni si può perdere tempo? In quanto ai miei discorsi sono arrivato alla conclusione, forse un po’ troppo tardi, che devono essere brevi.

Lugar: 

L'Avana

Fecha: 

22/06/2000